La sentenza n. 7010/2025 del Consiglio di Stato affronta un caso di abuso edilizio, offrendo un’analisi dettagliata sulle conseguenze di interventi non conformi al permesso di costruire. La pronuncia si concentra sui principi che regolano il potere sanzionatorio in materia edilizia, chiarendo quando le modifiche a un immobile possono essere considerate una semplice difformità o, al contrario, un’alterazione radicale che giustifica l’ordine di demolizione.
Il caso
Gli appellanti, proprietari di un immobile, hanno impugnato le ordinanze del Comune che ne ingiungevano la demolizione a seguito di interventi eseguiti in difformità dal permesso di costruire ottenuto nel 2011. Nello specifico, le opere contestate includevano la creazione di due tavernette, due verande, una sopraelevazione dell’intera superficie del secondo piano e una tettoia. Il Comune aveva anche comminato una sanzione amministrativa di 516 euro per la violazione dell’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001. A tali provvedimenti si aggiungevano il verbale di accertamento dell’abuso edilizio redatto dalla Polizia Municipale e la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge 241/1990.
I proprietari avevano inizialmente impugnato gli atti davanti al TAR Campania, contestando tra l’altro eccesso di potere, violazioni normative e carenza di motivazione, sostenendo che gli interventi costituissero difformità di modesta entità e non giustificassero la demolizione. Il TAR aveva respinto il ricorso.
Gli appellanti hanno quindi presentato ricorso al Consiglio di Stato, basando la loro difesa sull’erroneità della pronuncia impugnata, sostenendo che il TAR non avrebbe esaminato nel merito le censure sollevate nel ricorso introduttivo né per quanto riguarda la domanda di condono e la consistenza dell’immobile sanato né in relazione alle problematiche legate a un eventuale ripristino dello stato dei luoghi. Secondo gli appellanti, le piccole modifiche al primo piano e al piano terra, insuscettibili di autonomo utilizzo avevano natura pertinenziale dal punto di vista urbanistico rispetto agli interventi assentiti con il permesso di costruire, rilasciato ai sensi della legge n. 47/1985. Tali modifiche rappresenterebbero, al più, delle “parziali difformità” e avrebbero potuto giustificare esclusivamente l’irrogazione di una sanzione pecuniaria. Per quanto riguarda il secondo piano, inoltre, gli appellanti rilevavano che nel giudizio di prime cure non era stata adeguatamente considerata la deduzione difensiva che includeva tale porzione dell’edificio, poi compresa nel titolo in sanatoria successivamente rilasciato.
Infine, gli appellanti hanno sottolineato che le parti dell’edificio prive di titolo non potevano essere demolite senza arrecare pregiudizio alle porzioni costruite in conformità al permesso, richiamando l’art. 34 del D.P.R. 380/2001 e la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con una sanzione pecuniaria (fiscalizzazione).
Quando si parla di pertinenze?
Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello, confermando la sentenza del TAR.
Dalla documentazione disponibile, sebbene limitata, emerge che le difformità riscontrate dall’Amministrazione comunale sull’immobile rispetto al permesso di costruire non sono marginali. Considerate nel loro complesso, esse costituiscono un intervento edilizio completamente diverso e autonomo rispetto a quello autorizzato.
L’ordine di demolizione è quindi legittimo, in quanto non riguarda semplici modifiche isolate, ma la creazione di diversi locali comunicanti: due tavernette al piano seminterrato, due verande al primo piano (una sul lato sud e l’altra su un tratto di balcone a est), una sopraelevazione dell’intera superficie del sottostante fabbricato al secondo piano in luogo del terrazzo di copertura, e una tettoia in struttura metallica di 3,30 m x 4,40 m al piano terra. Tutti questi interventi compongono un manufatto stabile e permanente, che richiederebbe il previo permesso di costruire, e non possono essere considerati come pertinenze, data la loro consistenza, il rilevante impatto volumetrico e la possibilità di utilizzo autonomo degli spazi.
Come vanno valutati gli abusi edilizi?
Il Consiglio di Stato ha più volte ribadito il principio secondo cui la valutazione degli abusi edilizi deve essere effettuata considerando l’opera nel suo insieme e non scomponendo i singoli interventi, poiché il pregiudizio all’assetto del territorio deriva dall’insieme delle opere e dal loro impatto complessivo (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2022, n. 8848; 17 ottobre 2023, n. 9022).
Il TAR ha correttamente qualificato come abusivi gli interventi, che per essere legittimi avrebbero richiesto il permesso di costruire, e li ha sanzionati con l’ordine di demolizione. Il presunto condono del secondo piano, richiamato dai ricorrenti in maniera generica, non poteva essere considerato, in quanto non è stata fornita alcuna prova documentale né puntuale allegazione a supporto, e, come sottolinea la giurisprudenza, incombe sul ricorrente dimostrare la legittimità delle opere (Cons. Stato, Sez. II, 25 novembre 2024, n. 9443).
Quando è ammessa la fiscalizzazione?
Per quanto riguarda la possibilità di sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria, occorre precisare che l’amministrazione può valutare questa opzione solo nella fase esecutiva dell’ordine di demolizione, sulla base di un accertamento tecnico che dimostri l’impossibilità di eseguire la demolizione senza compromettere le porzioni legittime dell’immobile. L’omessa valutazione preventiva della sanzione pecuniaria non costituisce quindi un vizio dell’ordine di demolizione (Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2024, n. 3341).
In conclusione, essendo infondati tutti i motivi di appello, quest’ultimo deve essere integralmente respinto.
Articolo tratto dal Biblus Acca